di Catia Puglielli.
Il Bello che trasforma: un cammino tra silenzio, dolore e rinascita.
Ogni giorno, lungo il sentiero che porta all’Eremo di Sant’Onofrio, incontro volti silenziosi, passi lenti. Sono turisti, pellegrini forse inconsapevoli, che salgono tra i sassi e gli ulivi cercando qualcosa: pace, silenzio, una bellezza che sfugge alle parole. Osservo i loro occhi all’andata, concentrati, quasi assorti, e quelli al ritorno — più leggeri, più aperti, spesso accompagnati da un sorriso. È in questo piccolo miracolo quotidiano che ha preso forma la mia riflessione.
Perché salgono? Cosa cercano, davvero? Forse la stessa cosa che cercava Celestino V quando si rifugiò in quell’eremo: un luogo dove poter ascoltare, finalmente, il rumore dell’anima. Dove il mondo si fa distante e l’essere si fa nudo, essenziale. Dove il dolore può diventare seme.
Anche nella mia vita ci sono stati momenti di frattura, di smarrimento. In quei giorni, la filosofia, un tempo distante, è diventata presenza viva. Ricordo Hegel e il suo concetto di “bello” come manifestazione dello Spirito: parole che un tempo non capivo, ma che oggi riconosco nella semplicità di un raggio di luce sul monte, nel silenzio che parla più delle voci.
Il bello, in fondo, non è ciò che colpisce gli occhi. È ciò che risuona dentro. È ciò che resta quando tutto il resto crolla. È la forma che prende lo Spirito quando ci chiama a tornare a casa, dentro noi stessi.
E in questo ritorno, la bellezza guarisce. È carezza, è presenza, è verità. È quella forza che ci ricorda che anche dal dolore può nascere qualcosa di nuovo, se lo attraversiamo senza fuggirlo. È una rinascita silenziosa, che non ha clamore ma ha luce.
Così, quei passi lenti sull’eremo non sono solo turismo: sono riti inconsapevoli, piccoli pellegrinaggi dello spirito. Ed è questo che mi commuove: vedere persone che, forse senza saperlo, scelgono la bellezza. Non come fuga, ma come ritorno.
Perché ogni volta che scegliamo la bellezza — anche nel dolore — scegliamo di ricominciare. E allora, davvero, il bello ci trasforma.