di Catia Puglielli.
Ci sono momenti in cui, quasi per caso, lo sguardo si posa su qualcosa di familiare – un campanile, una cupola, un tetto antico – e improvvisamente ci accorgiamo che, per troppo tempo, abbiamo vissuto distratti da ciò che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno.
È quello che può accadere, ad esempio, salendo su un terrazzo nel cuore di Sulmona, magari invitati da un amico, per condividere una cena semplice e sincera. E mentre la luce del tramonto accarezza le pietre antiche, e la vista si apre sul profilo del campanile, qualcosa dentro di noi si risveglia. Lo spirito si eleva, l’anima comincia a vibrare.
Non è solo bellezza architettonica. Non è solo storia. È presenza viva di ciò che i nostri antenati hanno voluto donarci: segni visibili di una profondità invisibile. Monumenti, scorci, silenzi che parlano e che ci ricordano che non siamo fatti solo per correre, ma anche per contemplare.
In un tempo come il nostro, spesso confuso, affaticato, pieno di rumore e disorientamento, la bellezza può diventare una via per ritrovarci. Una bussola interiore. Una preghiera non detta, che ci attraversa mentre guardiamo il cielo farsi rosato dietro i profili dei tetti.
Forse le meraviglie che ci circondano – che siano una fontana, una chiesa, un balcone fiorito, o il suono delle campane in un pomeriggio d’estate – non sono lì solo per essere ammirate, ma per ricordarci chi siamo. E soprattutto, per suggerirci chi possiamo essere, se torniamo a coltivare uno sguardo grato e attento.
L’invito, allora, è semplice ma profondo: lasciamoci avvolgere dalla bellezza di Sulmona. Fermiamoci. Ascoltiamo. Guardiamo in alto. Perché solo elevando lo sguardo possiamo anche elevare il cuore. E forse è proprio da qui, da uno sguardo rinnovato sulla nostra città, che può rinascere anche un modo nuovo di stare insieme, più umano, più sano, più vero.