La tavola rotonda prevista alla Grancia dei Celestini è un momento importante per ridefinire idee e strategie su un sito che non è certamente un posto qualunque, visto che il Consiglio Regionale d’Abruzzo il 6 maggio scorso ha approvato all’unanimità una legge che ne prevede la valorizzazione e la tutela.
In realtà nella storia tormentata e nel percorso tortuoso legati alla destinazione dell’intera area in cui sono racchiusi l’eremo di Sant’Onofrio al Morrone, l’Abbazia di Santo Spirito al Morrone, il sito archeologico di Ercole Curino e il Campo di concentramento n. 78 è racchiusa quasi simbolicamente la crisi che ha investito la città tra la fine del ‘900 e l’inizio del nuovo secolo.
Una miscela di fattori comuni con il resto del Paese e legati alle trasformazioni sociali, economiche e politiche in atto, hanno fino a qualche settimana fa tagliato le gambe a una visione di sistema che andava oltre il confine delle mura cittadine e ampliava l’idea di valorizzazione della storia e della cultura locale

Questo ben oltre l’evento ormai ultra trentennale della Giostra Cavalleresca o di altre iniziative ben più estemporanee e, sostanzialmente, effimere che si sono succedute nel tempo a soddisfare orientamenti e ambizioni di amministrazioni per lo più in crisi d’identità, o di molteplici malcapitati assessori alla cultura e/o al turismo perennemente in lotta con bilanci sempre più risicati e quindi con idee sempre più virtuali, per non dire bislacche in alcuni casi.
L’alterità, diciamo così, dell’area celestiniana rispetto alla città era platealmente visibile nella diretta percezione dei cittadini i quali hanno cominciato a rendersi conto che forse quel Celestino V – Pietro da Morrone al quale è dedicata una strada senza uscita su via Ercole Giammarco, traversa tra Via Montesanto e Viale Mazzini, era qualcosa di più di un sentito dire.
Questo solo grazie all’ostinazione quasi folcloristica di una associazione, anch’essa “altra” rispetto alla città che oltre quarant’anni fa riscoprì, anche grazie a due personaggi come Mario Setta prima, e padre Quirino Salomone subito dopo, il valore di un eremo sopravvissuto a tutto solo grazie alla devozione strettamente locale. E dopo la travagliatissima posa di una statua a lui dedicata in Corso Ovidio.
Fatto sta che negli ultimi quindici anni (e in parte bisogna dire, ancora oggi) la percezione del “problema” si risolveva nel fatto se e come poteva essere riaperto e gestito lo “chalet” di Sant’Onofrio, chi dovesse gestirlo e a che titolo.
Ma, soprattutto, se sarebbe tornato ad essere quella “miniera d’oro” che nell’immaginario collettivo doveva essere un posto così suggestivo, che sembrava fatto apposta per passare una serata a birra e arrosticini. Convinzione radicata a un punto tale che ancora oggi i membri dell’associazione celestiniana vengono interrogati su quando finalmente si potrà tornare al rutto libero su quel belvedere.
Probabilmente, anzi, sicuramente quelle speranze verranno deluse. Per una serie di ragioni che poi hanno portato ad un risultato impensabile e imprevedibile come, appunto, l’approvazione di una legge regionale che riguarda tutta l’area e che forse non sarebbe mai stata adottata se nel 2010 l’allora sindaco Fabio Federico, malamente consigliato in realtà e sotto la pressione psicologica del sisma aquilano e della tragedia di Ventotene, emanò una ordinanza di chiusura per un rischio idrogeologico poi rivelatosi grottescamente sovrastimato.
Si parla spesso, a sproposito, di resilienza. Un sostantivo che è andato molto di moda soprattutto dopo il terremoto del 2009 e che ha spesso adottato come modello la reazione della capoluogo alla sciagura.
Essere resilienti con miliardi di Euro di finanziamento pubblico, pur nella tragedia e con il massimo rispetto per le 309 vittime, è tutto sommato più facile. Lo è un poco meno quando di quella torta non ti tocca nulla come nel caso di Sulmona.
Non è un caso che la Perdonanza nel 2024 sia costata 949 mila Euro e che il Fuoco del Morrone di Sulmona, che pure è la seconda gamba sulla quale poggia il riconoscimento UNESCO della stessa Perdonanza, circa 4 mila miseri euro l’anno, di cui solo duemila erogati dal comune di Sulmona e per il resto raccolti da piccoli sponsor locali.
Tuttavia, per tornare al punto, la sfortunata vicenda dell’area celestiniana è legata a una mancanza di visione. Allo scontro di due diverse concezioni che contrappongono due simboli che racchiudono due interpretazioni di fatto contrapposte di una economia legata al turismo e alla cultura, la sagra dell’arrosticino contro l’esperienza emozionale, la panza contro la mente e il cuore.
Tant’è vero che, alla fine della fiera, a presentare il progetto di legge è stato un marsicano, Massimo Verrecchia, che avendo conosciuto i celestiniani tramite legami personali e letto il progetto di partenariato sottoposto al Comune di Sulmona, è venuto un paio di volte a visitare l’area e l’abbazia e, non avendo mai mangiato lì gli arrosticini, ha intuito perfettamente di cosa parlasse l’associazione e ci ha costruito sopra un disegno di legge.
Per questo sarà interessante l’incontro del 26, dove alcuni personaggi autorevoli ragioneranno su uno strumento concreto che può dare risposte importanti all’intero territorio della provincia e non solo.
Parteciperà, ovviamente, Massimo Verrecchia, poi Massimo Sericola direttore regionale dei Musei d’Abruzzo con competenza sull’Abbazia, Alessandro Crociata ordinario di economia culturale e creativa all’Università D’Annunzio, Angelo De Nicola giornalista, scrittore e divulgatore di storie legate a Pietro Celestino.
I saluti saranno affidati a Luca Tirabassi, neo sindaco di Sulmona, e a Mimmo Taglieri presidente della Fondazione CARISPAQ e da sempre sostenitore di queste iniziative.