di Catia Puglielli.
C’è un silenzio che parla più forte di mille parole. È il silenzio delle valli, delle montagne, dei paesi nascosti tra i boschi e le colline, dove la vita ha un ritmo più lento, ma anche più vero. È lì che abitano persone che hanno scelto di restare, che hanno fatto della loro terra una promessa di amore e resistenza. Ma è lì che oggi, con ancora più forza, si fa sentire la paura di essere dimenticati.
Quando si parla di sanità e di tagli alla spesa pubblica, il rischio più grande non è solo la diminuzione di servizi, ma lo smarrimento del senso umano che dovrebbe guidare ogni scelta politica. Perché non si tagliano solo numeri o bilanci: si tagliano speranze, si taglia dignità.
Chi vive nelle aree interne, chi abita le montagne, non chiede il superfluo. Chiede solo di sapere che, in caso di bisogno, ci sarà qualcuno. Chiede che la distanza geografica non diventi distanza umana. Perché in quei luoghi, il medico di base, il presidio sanitario, l’ambulanza che arriva in tempo, non sono comodità, sono l’ossigeno dell’anima. Sono la certezza che lo Stato c’è, che la collettività protegge, che la vita ha valore ovunque, anche dove non conviene economicamente investire.
Ci sono anziani che leggono certe notizie e non dormono la notte. Non per paura della morte, ma per il terrore di doverla affrontare soli, senza conforto, senza assistenza, senza una diagnosi tempestiva. Perché quando una prenotazione slitta di un anno, per chi ha superato gli 80, la prima domanda che si affaccia nella mente è: “Chissà se ci sarò ancora.”
La politica, quella vera, non può permettersi di non vedere. Non può più essere cieca dinanzi alla fragilità umana. Le decisioni prese a tavolino devono ricordarsi del volto di chi vive nelle case di pietra, di chi affronta l’inverno tra la neve e la nostalgia, di chi cammina piano ma con la schiena dritta, di chi ogni giorno prega — non per vivere per sempre — ma per avere il diritto a una morte degna, in pace, con una mano da stringere e non una porta chiusa.
Non si governa solo con leggi, ma con compassione. È tempo che i nostri amministratori imparino che la politica è un atto d’amore, un servizio sacro attraverso il quale ogni decisione presa dovrebbe portare dentro di sé il sapore di una carezza, di una parola buona, di uno sguardo che vede e che sente.
Abbiamo bisogno di una politica che si inginocchi davanti al dolore, che sappia prendersi cura, che non tema di essere tenera. Abbiamo bisogno di uno Stato che protegga i suoi cittadini più fragili non per dovere, ma per convinzione. Perché se non si ha cura di chi è più fragile, allora non si ha cura di nulla.
Che la politica torni a essere una carezza. Perché è da lì, solo da lì, che può nascere davvero il futuro.