di Catia Puglielli.
A Sulmona hanno abbattuto la vecchia ala dell’Ospedale.
Un edificio ormai vuoto, dimenticato, eppure carico di vita passata.
La chiamavano “la vecchia” e questo bastava per sentirla già scartata, come si fa con ciò che sembra non servire più. Ma dietro quei muri c’erano storie. C’erano dolori. C’erano sguardi persi nel vuoto, mani che cercavano un’altra mano, silenzi che parlavano più di mille parole.
Quando le ruspe hanno cominciato il loro lavoro, si sono aperte le stanze, come ferite. Stanze fredde, spoglie, che però un tempo erano piene di respiri affaticati, flebo che scandivano il tempo, occhi che guardavano il soffitto e sognavano una finestra, una luce, un ritorno a casa. In quelle stanze c’era chi sapeva che non sarebbe più tornato. C’era chi non aveva più nessuno ad aspettarlo. C’era chi è morto con la televisione accesa e nessuno vicino, se non l’odore del disinfettante e un’infermiera stanca.
Ora che tutto è stato abbattuto, si vedono le montagne.
Ma loro non le hanno potute vedere. Quelle anime, quei corpi stremati. Non hanno potuto girarsi verso quella bellezza, non hanno potuto dire “guarda che meraviglia”. E questo, per chi è rimasto, è uno strappo al cuore.
Perché quando vedi crollare quelle mura, ti tornano in mente i giorni in cui lì dentro c’era tuo padre, tua madre, un amico caro. Ti tornano in mente le notti d’attesa, i respiri affannati, le ultime parole. Vedi le ruspe portare via pezzi di cemento e senti che stanno portando via anche qualcosa di tuo. Ma non è vero. Quelle anime restano lì. Quel luogo è ancora pieno.
E allora viene spontaneo fermarsi. Guardare quel vuoto.
Ma non è solo un vuoto. È un altare. È un invito alla preghiera.
Per chi ha sofferto. Per chi ha avuto paura. Per chi non ha potuto vedere il cielo un’ultima volta.
Fermiamoci davvero, ogni tanto. Togliamoci il cappello del tempo che corre, del dolore che si dimentica troppo in fretta. Coltiviamo la memoria con rispetto, con gratitudine. Perché da quelle stanze vuote è passato l’invisibile. E ci resta dentro, anche adesso. Anche se il cemento non c’è più.