di Lucia Abbatantuono, vicedirettrice della Giustizia.net.
È scaduto sabato 26 luglio il termine di 45 giorni, previsto dalla procedura di Chapter 11 della normativa fallimentare statunitense che è stata applicata alla crisi Marelli. Entro questi 45 giorni gli eventuali compratori avrebbero dovuto farsi avanti con le loro offerte per acquisire l’azienda di componentistica che occupa 46 mila dipendenti, dei quali più di seimila in Italia. I principali centri in Italia si trovano a Sulmona, Venaria Reale, Bari, Milano, Crevalcore, Caivano e Reggio Emilia. Ad oggi, però, non è arrivata nessuna proposta. In base alle norme vigenti, adesso la proprietà di Marelli dovrebbe passare da KKR ai creditori, guidati dal fondo americano Strategic Value Partners, fondo che già da tempo si è preparato a prendere il controllo di Marelli.
Anzi, con la specifica intenzione di farlo, proprio Svp ha chiamato come consulente Patrick Koller, ex numero uno di Forvia, il principale gruppo europeo di componentistica. Koller è un manager esperto nel settore.
Svp avrà bisogno del suo aiuto per gestire Marelli, che si trova da anni in una difficile crisi industriale. Dopo la vendita da parte di FCA ai giapponesi di KKR, per 6,2 miliardi, l’azienda ha subito le ripercussioni delle difficoltà dell’automotive europeo e dei suoi principali clienti, Nissan e Stellantis, ed è finita schiacciata dal peso di un debito di 4,9 miliardi. A giugno scorso KKR ha deciso di ricorrere al Chapter 11, procedura fallimentare statunitense che consente di bloccare le iniziative dei creditori, e ha trovato un accordo per cedere la proprietà ai suoi creditori, fra cui figurano le banche Mizuho e Deutsche Bank e, appunto, il fondo Svp.
L’evoluzione del caso è ovviamente seguita con apprensione in Italia. Marelli è la principale azienda di componentistica nel nostro Paese. Nel mondo il gruppo conta oltre 10 miliardi di ricavi, 170 siti produttivi e 46 mila dipendenti. In Italia i lavoratori sono oltre seimila, distribuiti su dieci impianti, alcuni dei quali sono davvero in seria difficoltà.
I sindacati chiedono con insistenza al governo di impegnarsi per evitare possibili ripercussioni sui posti di lavoro e sull’intera catena produttiva. Rassicurazione che, in modo quasi obbligato, l’azienda ha già voluto garantire, confermando pure che tutti quei costruttori che hanno già pagato anticipi sugli ordini a Marelli riceveranno regolarmente le rispettive consegne. In particolare, fra le aziende più esposte in tal senso ci sono Stellantis, con 454 milioni di dollari, Nissan (313 milioni), Bosch (45 milioni) e Tesla (26 milioni).
Nella zona industriale sulmonese lo stabilimento Marelli rappresenta l’ultimo grande insediamento produttivo. La sua possibile chiusura, o ridimensionamento, sarebbe un colpo durissimo per l’intera area. Già oggi la situazione interna è drammatica: turni notturni sospesi da quasi un anno, linee produttive dismesse (come quella per il furgone Ducato, trasferita ad Atessa), e 147 ulteriori esuberi annunciati entro fine anno.
La vicenda Marelli va ben oltre i cancelli della fabbrica. In gioco c’è la tenuta sociale ed economica di un’intera vallata.
Nelle prossime ore sapremo se quella di Sulmona sarà ancora una fabbrica o solo un ricordo.
Ecco. Fatto