È sentimento comune, più che opinione, che il figlio sia proprietà. Sottomesso finanche a buona parte delle leggi del mercato. Vi sono genitori orgogliosi di figlie ben inserite nel mercato mediatico delle emozioni facili. Vi sono figli che in siti Web, come Onlyfans, si propongono con ciò che è rimasto loro da condividere: il corpo. C’è una scuola rispettosa di consuetudini vuote e dimentica di valori pregnanti. C’è un mondo i cui i valori sono stati sovvertiti alla base e confusi ad arte. Addirittura, sembra ci sia una regia satanica nello stravolgimento sociale. Qualche stridente contrasto: supermercati di cibi per animali e prigionieri di guerra che muoiono di fame, protezione dei diritti delle sessualità fluide e cancellazione dei diritti genitoriali economico-sociali delle famiglie convenzionali. ‘Crociate’ contro i crocifissi, contro i ‘femminicidi’ e libertà nella circolazione dei messaggi d’intolleranza, odio o che oggettivizzano la donna a feticcio sessuale. I nostri figli non sono nostri, così come la nostra cultura inculcata soprattutto a scuola, non era e non è la nostra: i figli sono un amorevole dovere con tutte le caratteristiche di un dovere e la nostra cultura è l’Eredità di cui doverosamente dobbiamo difendere i pilastri. Senza questi punti fermi, la civiltà sforma in società morente. Come l’antica Roma, quando venne degradata alle giornate-tipo della società romana prebarbarica : pranzi/cene luculliane con intermezzi emetici poi seconde serate ai lupanare e termine di giornata, sui gradini del Senato, a giocare al più insulso dei giochi, i dadi. Fatte salve le differenze d’epoca, oggi siamo su quella ‘via consolare’. Cinque guerre senza ideali, contemporaneamente contestuali, lo sanciscono.
Il poeta libanese, Khalil Gibran, scrive la sua scarna poesia sui figli, iniziandola lapidaria, dicendo che i nostri figli non sono i nostri figli, prosegue dicendo che essi sono frecce viventi da scagliare nei sentieri dell’infinito, inaccessibili ai genitori neanche in sogno, la termina poi gloriosamente, esprimendo che Dio ama allo stesso modo sia il figlio freccia-vivente, sia il padre-arco, cui aiuta a tendere la corda. Questa poesia è un mirabile esempio di docilità nei confronti del nostro destino e di fede verso qualcosa che ci sovrasta, ma che è buono, giusto ed amorevole con noi. Raffinatezze di pensiero che sovente si rinvengono in poeti islamici. Ma più vicino a noi, a Lisbona in Portogallo, Fernando Pessoa scriveva :” Io non sono niente, io non saro’ mai niente, non posso voler essere niente, ma ho in me tutti i sogni del mondo’. Come poter avvicinare tanto delicata comunicazione d’anime, che attenua intenzionalmente una dichiarazione, riducendone la portata o la gravità, con il protagonismo d’oggi è impossibile.
(Foto Maria Trozzi)