E, invece, fr*gna… apologia di un creator(e)

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di Giulio Mastrogiuseppe

Ora, se vi state chiedendo cosa significhi questo titolo, non fate parte di quella folta ma improbabile enclave di estimatori che hanno trasformato un copywriter nato a Locorotondo nel più cliccato e ormai indiscusso esegeta delle gesta di Jannik Sinner, rosso spilungone altoatesino, diventato nel giro di un anno circa più famoso di Giuseppe Garibaldi quando era l’Eroe dei due Mondi.

Fabrizio Delprete, così si chiama questo personaggio ignoto fino a qualche giorno fa anche al sottoscritto, dichiaratamente ostile a qualsiasi gioco nel quale si usino palle di ogni forma o dimensione.

Confesso che dal calcio al ping pong trovo irrimediabilmente noiosa la balistica di sfere, sferoidi e ovoidali da chiunque scalciate, smanazzate, prese a mazzate o infilate in canestri, tali forse solo in origine. E irritante e incomprensibile l’accanimento riservato a tali oggetti, sia da chi usando piedi, mani e attrezzi vari li manipola direttamente, sia da parte di chi si scalmana, strepita e smadonna fino al limite dell’apoplessia assistendo a quello che – beati loro – ritengono sia una spettacolo.

Che se uno poco poco ci riflette a freddo, potrebbe precipitare in un abisso di depressione causato dall’immensità dell’equivoco, per il quale d’altro non si tratta che di una sublimazione della più tribale delle pulsioni umane: la guerra.

Palese nel rugby o nel football americano, nel calcio, meno nel volley o nel badminton, di più nel cricket o nel baseball dove le mazze si usano esplicitamente,.

Sublimazione evidentemente palliativa, visto i comportamenti delle plebi tifanti fuori e dentro i luoghi deputati alla celebrazione dei moderni “circenses”

E se gli sport di squadra con la palla sono la sublimazione della battaglia, certamente il tennis lo è del duello. Spesso sfinente ad oltranza tanto che i contendenti sembrano più i protagonisti del celebre film di Ridley Scott.

Tutta questa premessa per far rilevare quanto sia galattica la distanza che separa chi scrive da questo mondo di servizi, dritti e rovesci incrociati.

Venerdì 13 giugno, giorno di Sant’Antonio da Padova, ripetutamente sollecitato da Alessandro (Mastrogiuseppe) patron di quel ritrovo, anche da buongustai, chiamato “Woody” figlio naturale del precursore “Casa Lumiere“, ho ceduto alle sue insistenze incuriosito da qualche post ammannito quasi con prepotenza al sottoscritto e ho assistito alla presentazione del libro per soggetti diversamente tennistici intitolato “Caro Jannik ti scrivo“.

A fare da intervistatore un Nico Tucci super fan, meglio noto in città come talentuoso fotografo ora manager tempo pieno dei suoi due pargoli, vocati alla racchetta con la rassegnata approvazione di mamma Alexis.

Nonostante la cautela iniziale, la simpatia e il gusto per il paradosso di Fabrizio (Delprete) si sono manifestati immediatamente a dispetto della mia inadeguatezza riguardo all’argomento. L’intuizione di partecipare malgrado il tema non fosse per me entusiasmante si è perciò rivelata felice.

Non solo: ho potuto apprezzare la densità umana dell’autore, con una lunga chiacchierata nel corso della quale ho partecipato a quelle rare epifanie intellettuali che accadono quando incontri un umano inspiegabilmente affine.

Le iperboli del libro su Sinner, in salace dialetto romanesco che ne ingigantisce la satirica solennità al contrario, riecheggiando sonorità sordiane e maschere verdoniane, poetiche e nello stesso tempo spietatamente esilaranti, vanno godute a parte. E a parte sono rimaste nel resto della serata dove spiriti smarriti nell’altrove esistenziale si sono riconosciuti e ritrovati.

L’insistenza e l’entusiasmo quasi infantile di Alessandro quando mi leggeva le frasi roboanti da Cervantes della Garbatella in cui le gesta del roscio venivano celebrate, mi facevano temere una serata nella quale sfoggiare sorrisi e chiacchiere di circostanza.

Invece ora abbiamo un amico in più, un’anima eletta da rivedere con piacere al più presto, con un grande grazie da rivolgere pubblicamente alla fine intuizione di Alessandro, che non si è fatto fuorviare dalla refrattarietà agnostico-sportiva di chi scrive.

Poteva essere una serata dove rompersi i cosiddetti e invece? Invece abbiamo fatto una scoperta tanto più gustosa quanto inaspettata.

Invece, Invece Fr*gna! Come, giustamente, Fabrizio Delprete ha intitolato il suo secondo libro… sull’onda di un successo editoriale che ha dell’incredibile tanto da sfociare anche nella commercializzazione di t-shirt rigorosamente color carota, come il capello del tennista più amato di tutti i tempi, con stampate le sue frasi più famose.

Come quelle di un Osho che, però, ce l’ha fatta.

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